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I testi di questa pagina sono tratti dal volume Ermarco, Frammenti, a cura di Francesca Longo, pubblicato da Bibliopolis, nel 1988 nella collana: La scuola di Epicuro. Collezione di testi ercolanesi diretta da Marcello Gigante.
(c) 1987 by Bibliopolis - edizioni di Filosofia e scienze s.p.a - Napoli via Arangio Ruiz 83.

Frammento 5

Cicerone, De Finibus... II 30, 96 - Krohn 15

Epicuro saluta Ermarco.
In un giorno beato che è insieme l'ultimo della mia vita ti scrivo queste righe. I dolori della vescica e dell'intestino sono così forti che nulla si può aggiungere alla loro intensità... Tuttavia tutto ciò è compensato dalla gioia che provo al ricordo della nostra dottrina e delle verità da noi scoperte. Ma tu, come è degno della generosa disposizione giovanile verso di me e verso la filosofia, fa' in modo di aver cura dei figli di Metrodoro.

Frammento 6

Diogene Laerzio X 16-21, pp 13-17 Arrighetti - Krohn 14

Con queste norme testamentarie lego tutti i miei beni ad Aminomaco, ... e a Timocrate, ... a patto che assegnino - come loro dimora per lo studio della filosofia - il giardino e i suoi accessori ad Ermarco, figlio di Agemorto, mitilenese, ed ai suoi compagni di Filosofia ed a quelli che Ermarco lascerà successori nello scolarcato. La casa che è in Melita sia assegnata da Aminomaco e Timocrate ad Ermarco, perché vi abitino fino alla morte di Ermarco.
Le rendite che si ricavano dai beni da noi legati ad Aminomaco e a Timocrate siano da loro, per quanto è possibile, suddivise di accordo con Ermarco, e destinate sia ai sacrifici funebri per il padre, la madre e i fratelli (e per me) ... Aminimaco e Timocrate abbiano cura di Epicuro, figlio di Metrodoro, e di Polieno, figlio di Polieno fino a quando coltivino la filosofia e vivano insieme con Ermarco. Così pure si prendano cura della figlia di Metrodoro e, quando sia giunta all'età giusta, la diano in matrimonio a colui tra i suoi compagni in filosofia che Ermarco abbia scelto, poiché è bene costumata ed obbedisce docilmente ad Ermarco. Aminomaco e Timocrate dalle nostre rendite prelevino la somma necessaria per il loro sostentamentoe la diano nella misura che sembra conveniente, anno per anno, a loro dopo essersi consultati con Ermarco
Oltre che a se stessi concedano anche ad Ermarco pieno diritto di disporre delle rendite, perché ogni singola cosa avvenga col permesso di chi è invecchiato insieme con noi nella filosofia ed è rimasto guida della nostra scuola. La dote per la fanciulla, quando sia cresciuta, Aminomaco e Timocrate ricavino attingendo, per quanto sia consentito dalle circostanze, al patrimonio, sentito il parere di Ermarco...
Diano tuttala nostra biblioteca ad Ermarco.
Se qualche umana sciagura capita ad Ermarco prima che siano cresciuti i figli di Metrodoro, Aminomaco e Timocrate attingendo per quanto è possibile alle rendite da noi lasciate diano loro quanto è sufficiente per tutti i loro bisogni, sempre che la loro condotta sia buona.

Frammento 23

Sob., Flor. IV 51, 30 - Krohn 51

Di Ermarco.
Facilmente disprezzabile è la morte; infatti è impossibile agire quando è eliminata la possibilità di subire.

Frammento 24

Sob., Flor. IV 34,66 - Krohn 58

Di Ermarco.
Indecifrabile è tutta la vita, senza alcuna certezza erra trascinata dagli eventi. La speranza sforza gli animi al coraggio. Nessun mortale sa esattamente dove si porti il futuro. Un dio governa tutti imortali nei pericoli. Spesso un' aura terribile soffia su eventi felici.

Frammento 32

Philodemo, Piet. (Papiro Herc. 152/157) - Krohn 39

Secondo Ermarco bisogna pensare agli dei come esseri che inspirano edespirano. Senza questa caratteristica certo non potremo più pensare questi esseri viventi tali quali li abbimo conosciuti attraverso le nostre anticipazioni, come neppure potremo pensare pesci che non abbiano bisogno di acqua nè uccelli che non abbiano bisogno di ali per muoversi attaverso l'aria...
Nè bisogna dire che vi sia animale terrestre che sia mortale sia... che non abbia bisogno del respiro, come neppure neve senza candore o fuoco senza calore.
E bisogna dire che essi fanno uso sia della voce sia della conversazione tra loro. Infatti, non li penseremo felici e inistruttibili in grado maggiore - egli afferma - se non avessero voce o non discorressero tra loro, ma fossero simili agli uomini muti. i verità, poiché noi, che non siamo mutilati in alcuna parte, ci serviamo della voce, dire che gli dei o sono mutilati o non somigliano a noi sotto questo aspetto è anche estemamente sciocco, dalmomento che nè noi nè loro diversamente in alcun modo coniamo espressioni, e, d'altra parte, anche percHé conversare con i propri simili è per i buoni fonte di piacere indicibile.
E, per Zeus, si deve ritenere che la loro lingua sia ilgreco o una lingua non lontana dal Greco... tutti i sapienti... si dice che usino parole non molto diverse nelle articolazioni. E sappiamo anche che sono sapienti solo coloro che si servono della lingua greca.

Frammento 34

Porph. Abst. I 7-12; 26,4 - Krohn 24

7,1. I discepoli di Epicuro, nel corso dell'esposizione dettagliata di una lunga genealogia, dicono che gli antichi legislatori, dopo avere studiato la comunanza della vita umana e il reciproco comportamento, pronunziarono una condanna d'empietà contro l'uccisione di un essere umano e applicarono per questo pene non comuni; forse perché una certa affinità naturale tra uomo e uomo, dovuta alla somiglianza fisica e spirituale, impediva di distruggere una siffatta creatura con la stessa facilità degli altri che è lecito uccidere. 2. Ma la ragione principale del loro disgusto per questo atto e della traccia di empietà fu la coscienza del fatto che non giovava all'insieme delle relazioni sociali. 3. Partendo da tale principio, coloro che compresero l'utilità di questa disposizione non ebbero bisogno di altra ragione che li trattenesse da questa azione; altri, invece, non essendo in grado di intenderne sufficientemente il senso, si astennero dall'uccidersi reciprocamente con facilità, intimoriti dall'entità della punizione. 4. Questi due atteggiamenti sembra che si verifichino ancora oggi. Infatti quelli che vedono l'utilità della disposizione di cui si è detto vi si attengono prontamente, mentre quelli che non la recepiscono lo fanno perché temono le minacce delle leggi, che furono stabilite a causa di coloro che sono incapaci di comprendere l'utile, e accettate dalla maggior parte degli uomini.
8,1. All'origine, in effetti, nessuna legge, che fosse scritta o meno, tra quelle che sono in vigore oggi e che si trasmettono naturalmente, fu imposta quella violenza, ma per convenzione di quelli che se ne servivano. 2. Gli introduttori di tali disposizioni per i più si distinsero dalla massa per prudenza, non per forza fisica o assoggettamento tirannico, e indussero alcuni - che prima ne avevano solo una percezione irrazionale e spesso se ne dimenticavano - al calcolo razionale dell'utile, spaventarono gli altri con l'entità delle pene. 3. Contro l'ignoranza dell'utile non vi era altro rimedio se non la paura della pena stabilita dalla legge. Questa soltanto, anche oggi, frena gli uomini dappoco e impedisce di compiere azioni dannose pubblicamente o privatamente. 4.Infatti, se tutti avessero potuto ugualmente considerare e ricordare l'utile, non avrebbero avuto bisogno di leggi, ma spontaneamente si sarebbero astenuti da fare ciò che è proibito e avrebbero compiuto ciò che è prescritto. Giacchè la concezione dell'utile e del dannoso è sufficiente a determinare il rifiuto di certi atti e la scelta di certi altri. 5. La minaccia del castigo è per quelli che non si curano del vantaggio. Essa sovrastando gli impulsi che tendono alle azioni dannose, costringe a dominarli e obbliga con la forza a fare ciò che si deve.
9,1. Ciò spiega anche perché i legislatori non lasciarono impunito l'omicidio volontario, per non fornire alcun pretesto a quanti volontariamente scelgono di imitare gli atti di quelli che agiscono volontariamente, ma soprattutto per non lasciare incontrollato e trascurato un tale campo, con la conseguenza che molti misfatti si verificherebbero davvero involontariamente. Nemmeno l'omicidio involontario era conforme all'utile e per gli stessi motivi per i quali non lo erano gli omicidi volontari reciproci. 2. Per cui, siccome alcuni atti involontari si verificano per un motivo che non si può né determinare né controllare da parte della natura umana, ma altri sono causati dalla nostra negligenza e dall'icapacità di prestare attenzione alla diversità, volendo impedire la trascuratezza che danneggia anche coloro che ci sono vicini, non resero impunita neppure l'azione involontaria, ma, con la minaccia del castigo, eliminarono in gran parte tale colpa. 3. Io credo che se i delitti ammessi dalla legge sono soggetti alla pratica dell'espiazione mediante purificazioni, è grazie all'iniziativa di coloro che per primi meritoriamente hanno introdotto questi usi, per nessun altro motivo se non per distogliere quanto più è possibile gli uomini dall'azione volontaria. Giacché gli uomini dappoco avevano dovunque bisogno di un impedimento alla pronta esecuzione di atti contrari a ciò che è utile. 4. Per cui coloro che per primi furono consapevolidiciò che non solo stabilirono pene, ma resero incombente la minaccia di una paura diversa e irrazionale, dichiarando impori quelli che, dichiarando impiri quelli che, resisi colpevoli di una qualunque forma di omicidio, non si fossero sottomessi a purificazioni. 5. Infatti, la parte irrazionale dell'anima, attraverso varie forme di educazione, giuse al presente stato di mitezza, perche' coloro che originariamente instaurarono l'ordine nelle moltitudini impiegarono mezzi adatti a sottomettere la tendenza irrazionale del desiderio. Uno di questi mezzi è la proibizione di uccidiersi indiscriminatamente.
10.1. per quanto rigurda glia altri esseri viventi, i primi legislatori, ragionevolmente, nel determinare ciò che dobbiamo fare, non impediro la distruzione. Infatti, nei confronti degli animali, l'utile risultava dall'azione contraria. L'uomo non avrebbe potuto sopravvivere se non avesse cercato di difendersi contro gli animali vivendo in società. 2. Alcuni tra gli uomini più dotati di allora, ricordando che essi stessi si astenevano dall'uccidere perchè ciò era utile per la sopravvivenza, rammentavano agli altri l'interessi del vivere in società: astenendosi dall'uccidere il congenere, salvaguardare la comunità che contribuiva all'individuale preservazione di ciascuno. 3. Riunirsi in una comunita' separata e non maltrattare alcunio di coloro che si erano raccolti nello stesso luogo era utile non solo per espellere gli esseri di altre specie, ma anche per difendersi dagli uomini che sopraggiungevano con l'intento di nuocere. 4. E' per ciò che per un po' di tempo ci si astenne dall'uccidere il congenere, nella misura in cui questi entrava nella stessa comunità di bisogni e offriva servigi per i due punti di cui si é detto. Ma poi, quando più tempo fu trascaroso, e la popolazione riproducendosi si fu notevolmente accrescita, gli esseri di altre specie furono espulsi e dispersi. Alcuni allora acquisirono un calcolo razionale dell'utile nella loro vita sociale, non solo un ricodo irrazionale.
11.1. Per cui cercarono di prendere delle misure più forti contro coloro che si uccidevano reciprocamente con facilità e indebolivano il mutuo soccorso, dimentichi del passato. Nel cercare di far questo, introdussero le legislazioni che sono ancora oggi in vigore nelle città e presso i popoli. La massa li seguì di buon grado perché ormai recepiva meglio ciò che é utile nel raggruppamento sociale. 2. Concorreva in uguale misura alla liberazione dalla paura l'uccisione senza scrupoli di ogni essere nocivo e la preservazione di ogni essere utile alla sua distruzione. Per cui ragionevolmente l'uno dei due atti di cui si é detto fu proibito, per l'altro invece non furono posti impedimenti. 3. Non é il caso dirilevare che la legge ci permette di eliminare alcuni animali che non distruggono l'uomo nè nuocciono in alcun modo alla vita. Giacché, per così dire, non c'é animale, tra quelli che la legge ci permette di eliminare, che, se lo si lascia proliferare con eccessiva abbondanza non possa diventare dannoso per noi. Invece, se li si mantiene nella quantità attuale, offrono alcuni servigi per la nostra vita. 4. Infatti la pecora, il bue e tutti gli animali di qusto tipo, in quantità misurata, ci portano dei vantaggi per i bisogni della nostra vita; se invece raggiungessero una quantita' enorme e tale da superare largamente quella prestabilita, protrebbero danneggiare la nostra vita, da un lato per il loro temperamento forte, in quanto parteciapano di una natura disposta a ciò, dall'altro semplicemente perché mangiano il nutrimento prodotto per noi dalla terra. 5. Ed è la ragione per cuinon fu impedito di uccidere nemmeno questo tipo di animali, affiché ne rimanesse la quantità utile a rendere servigi e potessero essere facilmente dominati. Infatti, nel caso di leoni e lupi e, in generale, degli animali che sono chiamati selvaggi, sia piccoli che grandi, non é possibile fissare alcuna quantita' che, lasciata sussistere, allievii le necessita' della nostra vita. Diversamente stanno le cose nel caso di buoi e cavalli e pecore e, in generale, degli animali chiamati domestici. Per cui noi distruggiamo completamente gli uni, mentre degli altri eliminiamo solo la quantita' in eccesso.
12,1. Bisogna pensare che ragioni simili a quelli di cui si é detto abbiano guidato coloro che in origine hanno redatto le leggi che regolano il cibarsi di esseri animati, mentre, nel caso di ciò che non é edibile, il motivo fu l'utile e il nocivo. 2. Per cui, dire che tutto ciò che é bello e giusto riguardo alla prescrizioni legali é determinato da concezioni individuali é pieno di una profonda stoltezza. Le cose, infatti, non stanno così, ma, come per le altre sfere dell'utile, ad esempio la salute e mille altri casi ... Tuttavia in molti casi sbagliano sia in generale sia in particolare. 3. Giacché alcuni non si accorgono di quelle leggi che sono adeguate quasi in uguale misura a tutti, ma gli uni le tralasciano perché le considerano indifferenti, gli altri hanno su di esse l'opinione contraria, e alcuni credono che ciò che non é generalmente utile sia utile dappertutto. Perciò si attaccano a leggi che non sono adeguate, anche se, in alcuni casi, sono in grado di scoprire ciò che é vantaggioso per loro e ciò che é di utilità generale. 4. Tra queste ci sono le leggi che regolano il cibarsi e la distruzione degli essere animati. Presso la maggior parte dei popoli, tali prescrizioni sono regolate in base alla particolare natura del paese. Per noi non è necessario osservarle, dal momneto che non viviamo nello stesso luogo. 5. Se dunque fosse stato possibile concludere con gli altri esseri viventi un patto, come con gli uomini, che garantisse il non uccidersi nè l'essere da noi uccisi indiscriminatamente, sarebbe stato giusto portare avanti la giustizia fino a questo punto; essa si sarebbe estesa in vista della nostra sicurezza. 6. Ma, dal momento che era impossibile associare alla legge creature non dotate di ragione, non era possibile attraverso un simile procedimento costruire l'utile in vista della nostra sicurezza da altri esseri animati più che da oggetti inanimati. Soltanto prendendo l'autorizzazione ad ucciderli, che noi ora abbiamo, ci é dato ottenere tutta la sicurezza possibile. 7. Tale é la tesi degli Epicurei.
26,4. Trattazioni di tal genere si trovano nell'opera di Clodio e di Eraclidie Pontico, di Ermarco epicureo e degli Stoici e dei Peripatetici, e tra queste ci sono anche le vostre nella misura in cui mi furono riferite.

Frammento 45

Philodemo, Vit. (Papiro Herc. 1424) - Krohn 56

Per dire più propriamente, far partecipi gli amici e quanti degli altri non sono indegni sembra essere ad alcuni privazione e diminuzione del patrimonio; invece curarsi di siffatti uomini è per Ermarco un possesso più utile che occuparsi dei campi e un tesoro sicurissimo difronte alla sorte.

Frammento 47

Ambr., Ep. 14, 19 - Krohn 48-49

Egli dichiara, come afferma Ermarco, che non le libagioni né le gozzoviglie né la prole né unirsi con le donne né l'abbondanza di pesci e di altri cibi simili che si suole preparare per far splendido il convito rendono la vita gradevole, ma un sobrio calcolo. Infine aggiunge che che chi non li desidera esageratamente partecipa con moderazione all'abbondanza del convito. Chi si nutre volentieri soltanto di pane e acqua sputa sui banchetti prelibati, perché molti inconvenienti derivano da ciò. Anche altrove dicono: non i banchetti smoderati non le libagioni comportano la dolcezza del piacere, ma una vita sobria.

Frammento 57

Diogene di Oenoada, frammento 124 Casanova

Se deporrai la tua estraneità vorrai aprire gli impassibili ingressi alla nostra comunità e con una svolta ti allontanerai dai discorsi retorici per ascoltare qualcosa della nostra dottrina.
Perciò speriamo fiduciosi che busserai alle porte della filosofia.


Il Krohn è stato il primo a pubblicare una raccolta dei frammenti di e su Ermarco.
Ecco una tavola di concordanza tra le raccolte del Krohn e di Francesca Longo

Longo

Krohon

Krohn

Longo

1

1

1

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2

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2

8

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3

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5

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6

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2,12

8

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12

9

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10

10

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8,9

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