Roberto Herlitzka rinnova il “miele” di Lucrezio con la complicità di Dante Alighieri

di | 11/05/2019

Al Salone del Libro di Torino Roberto Herlitzka, al suo esordio come traduttore, ha presentato in anteprima la sua versione di Tito Lucrezio Caro, La Natura (Libri I-IV), pubblicato da La Nave di Teseo.

A fianco del noto attore, un brillante Massimo Manca, che conosce bene Lucrezio perché da tempo insegna lingua e letteratura latina all’Università di Torino. La sua conversazione con Herlitzka è spigliata e priva di inutili convenevoli, al Salone del Libro i tempi stringono, ma tutti lo sanno, e vanno subito al dunque, in medias res. Tutto ruota attorno ad una questione centrale: come è nata l’idea di tradurre Lucrezio? E soprattutto perché tradurlo in terzine dantesche. Attualmente le traduzioni alle quali siamo abituati sono di tipo esegetico o addirittura divulgativo, mentre il linguaggio poetico scelto da Herlitzka non è facile, non si tratta certo di un italiano per tutti. Ma il mondo da cui proviene l’autore di questa traduzione in versi è il teatro, e il teatro è il luogo nel quale la poesia e il verso possono essere spesi in pubblico, persino oggi. In un certo senso, poi, anche Lucrezio amava il latino arcaico, e perciò perché non usare un italiano trecentesco, con qualche licenza al linguaggio poetico anche più recente?

Herlitzka ha studiato a Torino al d’Azeglio – ci tiene a ricordare questo dettaglio, visto che Torino è la città che ospita il Salone del libro – e il liceo classico è stato il luogo in cui nacque il suo amore per Dante, ma anche per gli altri classici, come Petrarca, Leopardi, Montale. L’idea di tradurre qualche verso di Lucrezio in endecasillabi fu all’inizio un passatempo, la distrazione di uno studente che sperimenta gli endecasillabi come puro esercizio di stile, o forse per gioco. Dapprima per amore di Dante, poi per amore di lui, di Lucrezio, ed una qualche parentela fra i due c’è, ed è stata ravvisata da alcuni ben prima che iniziasse questo lavoro di traduzione. Poi come sappiamo l’attore si trasferì a Roma, per studiare recitazione, e fra i suoi maestri ci fu Orazio Costa, che apriva le menti quando leggeva Dante.

L’amore per Dante, però, non poteva sopperire ad una conoscenza del latino che non era quella del filologo di professione, e perciò Herlitzka confessa serenamente al professor Massimo Manca che non è partito da zero, ma che si è servito di una traduzione molto letterale del De Rerum Natura, l’edizione scolastica della collana Avia Pervia. Purtroppo, però, specialmente nel IV libro, certi passaggi che hanno a che vedere con l’eros e la sessualità sono stati omessi (Autocensura? Gli studenti non devono leggere certe cose?), perciò, soprattutto in questo libro, il riferimento è stata la traduzione italiana di Armando Fellin. Con uno sguardo ammiccante, e qui traspare l’animo dell’attore, Herlitzka ci dice che ora spera di terminare la resa in versi e di completare così questa traduzione che ha condotto, poco per volta, durante una vita intera.

Poi l’attore si alza in piedi, ed inizia a leggere le terzine della sua traduzione, un senso del ritmo, una forza, anche Manca, che è abituato alla metrica dei versi latini, e segue il testo originale che ha portato con sé, alza lo sguardo sorpreso. Sono cinque i passaggi scelti da Herlitzka per il pubblico del Salone del Libro:

quello in cui si dice che gli dei, beati, non si curano delle faccende umane;

l’inutile sacrificio di Ifigenia per consentire la facile partenza delle navi greche;

il sacrificio del vitello agli dei, immolato sugli altari dei divini santuari;

il pulviscolo atmosferico, che si muove in tutte le direzioni illuminato dalla luce del sole, al quale vengono paragonati gli atomi, che fluiscono incessantemente nello spazio infinito;

ed infine, il quinto brano, che certamente molti di voi ricorderanno di aver tradotto nelle lunghe ore di latino trascorse al liceo. Quello in cui si descrive il bambino malato, al quale il medico consegna un farmaco amaro (absinthia). Il bordo del bicchiere viene addolcito con del miele. Lucrezio, con i suoi versi, vuole raccontare il messaggio del suo maestro, Epicuro, in modo dolce, ed anche noi adulti, che da anni non affrontiamo la lettura in lingua latina di quei versi, non possiamo però non ricordare quell’immagine: dulci contingere melle.

Sandro Borzoni