In “Lezioni di felicità” Ilaria Gaspari racconta in prima persona come ricostruire la propria vita grazie alla filosofia classica.
La protagonista del racconto è appena stata lasciata dal compagno con cui conviveva da tempo. Purtroppo l’affitto del loro appartamento, ora che è sola, è troppo caro e lei è costretta a traslocare. Un doppio colpo la lascia in ginocchio. Per ripartire, una settimana alla volta, la protagonista seguirà gli insegnamenti di una differente scuola filosofica greca. Compreso l’epicureismo.
Questo libro ha il pregio indiscutibile di presentare il pensiero di Pitagora, Parmenide, Zenone, Pirrone, Epicuro e Diogene come un pensiero vivo e non come un lontano oggetto di studio coperto dalla polvere dei secoli.
In questo Epicuro si distingue decisamente dagli altri filosofi. La protagonista non ha bisogno di interpretare e adattare i consigli di Epicuro per una vita felice, come invece è necessario fare per tutte le altre scuole. Non è un caso che il libro si apre con una citazione di Epicuro: “È vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche male dell’animo umano.”
L’interpretazione di Epicuro di Ilaria Gaspari è lucida e affascinante.
“Epicuro è uno di quei filosofi le cui idee sono state talmente libere, talmente diverse da quelle di tutti i loro contemporanei – e quindi tanto folli, ad occhi meno inattuali – da procurargli la fama di depravato, vizioso, scostumato o quel che volete.“
Da principio la protagonista si concentra sull’insegnamento di Epicuro riguardo ai desideri: naturali e necessari, naturali ma non necessari e non necessari. “Il fatto è che non siamo abituati a coltivare la moderazione: me ne accorgo, con una certa sorpresa, quando inaspettatamente la mia vita epicurea si trasforma in una lunga rincorsa della frugalità.” E anche: “Voglio decidere io quello che desidero, e anche quello che non desidero. Il problema, però, è che questa attività finisce per assorbire tutto il mio tempo, è una spirale da cui sembra impossibile uscire.”
Ma poi, comprendendo meglio il messaggio di Epicuro, ritrova la serenità: “Capisco che essere una buona epicurea non vuol dire né essere dissoluta né monacale nella severità verso me stessa, ma lasciarmi vivere con sottile fatalismo, senza cadere preda dell’angoscia.” Centro! Nonostante il termine fatalismo non credo sia particolarmente indicato, perché per Epicuro gli imprevisti della sorte hanno un potere molto limitato sulla nostra felicità.
Infine l’autrice sottolinea l’importanza che amicizia e generosità hanno per la felicità epicurea.
Per quanto breve, un solo capitolo del libro è dedicato a Epicuro, l’esperienza epicurea di Ilaria Gaspari è decisamente efficace ed originale. Se poi l’autrice preferisce imparare la felicità dai cani piuttosto che “gareggiare in felicità con Zeus stesso” beh, ognuno fa le sue scelte. 🙂