La scienza della contentezza: Come raggiungerla e perché conviene più della felicità.
In questo libro Christina Berndt mette a confronto la felicità, intesa come momenti di gioia intensa: un innamoramento, una promozione sul lavoro, una medaglia alle olimpiadi (per noi epicurei: piacere in movimento) con la contentezza, intensa come soddisfazione personale, serenità, apprezzare quello che si ha (per noi epicurei: piacere statico, atarassia).
In questo confronto l’autrice si avvale di tantissimi studi compiuti sulla felicità negli ultimi decenni. Studi che Epicuro non poteva fare, perché nel terzo secolo a.C. non c’erano conoscenze scientifiche adeguate e perché non è certo facile nemmeno oggi osservare migliaia di volontari per decenni per cercare cosa li rende felici. Studi che inevitabilmente portano a confermare quanto Epicuro ci ha insegnato.
Non è la ricchezza che rende più contenta una persona (anche se sotto una certa soglia di povertà i beni materiali a disposizione diventano essenziali) ma le relazioni sociali e avere uno scopo nella vita. Essere contenti inoltre aiuta a vivere più sani e più a lungo. Lo dimostrano numerosi studi.
La felicità ha per sua natura dei picchi e dei cali. Un matrimonio, una vincita alla lotteria rendono molto felici per un po’, ma poi la felicità torna ad assestarsi su quello che potremmo definire il livello medio di contentezza che ciascuno di noi ha. Su questo possiamo lavorare con la nostra intelligenza, il libro spiega come, ma noi epicurei potremmo limitarci a riassumere il tutto con il “calcolo dei piaceri“.
Il libro parte dagli studi compiuti, presenta numerosi esempi e testimonianze e offre tanti ottimi consigli.
Una sola cosa mi ha lasciato perplesso. Christina Berndt non cita mai Epicuro, e questo può essere normale, ma cita almeno tre volte il pensiero stoico. Eppure questo è un libro chiaramente epicureo. A meno che in quasi 30 anni di servizio come epicureo io non abbia capito nulla della differenza tra i pensieri epicureo e stoico…