Carlo Diano, quando l’eroismo è un dettame del cuore. Intervista a Francesca Diano

di | 24/04/2018

Quando negli anni del liceo, ad inizio anni ’90, iniziai ad interessarmi ad Epicuro acquistai tutti i libri a disposizione, dando inizio all’imponente raccolta che possiedo oggi. Tra tutti ne apprezzai uno in particolare: Epicuro. Scritti Morali. Introduzione e traduzione di Carlo Diano. Ne apprezzai innanzi tutto la vivace ed appassionata introduzione. La scelta dei testi e soprattutto il modo in cui erano organizzati: per argomento e non per fonte. Ottima anche se un po’ datata la traduzione.
È stato, ed è tutt’ora, il mio libro su Epicuro preferito, anche più della Lettera sulla Felicità di Stampa Alterativa e dell’imponente raccolta di tutto lo scibile epicureo di Margherita Isnardi Parente pubblicata da UTET e riedita un po’ ovunque. Ha un solo difetto: è fuori catalogo.

Poco tempo fa ho avuto la fortuna di contattare online Francesca Diano, traduttrice, scrittrice e figlia di Carlo, che sta portando avanti una battaglia per ripubblicare le opere del padre. (Puoi aiutarla firmando la petizione).

Francesca è stata davvero gentile e disponibile nel concedermi questa intervista attraverso la quale spero di poter introdurre a tutti gli appassionati di Epicuro la figura davvero eccezionale di Carlo Diano uomo prima ancora che letterato e studioso di Epicuro.

– Tutti gli epicurei del mondo, ma in particolare gli italiani, hanno un debito di gratitudine verso Carlo Diano, per i suoi studi e le sue traduzioni. Diano si riteneva un epicureo o uno studioso di Epicuro?
Dipende da cosa si intende per “epicureo”. Se lo si intende nel modo più volgarmente non filosofico, certamente no. Ma se lo si intende dal punto di vista umano, vale a dire come uomo i cui valori etici sono suprema guida, che mai rinunci alla fedeltà ai propri principi, che conosca il valore della philia e la metta al centro del suo agire, che coraggiosamente affronti le prove della vita e altrettanto coraggiosamente sappia affrontare la morte, se questo è il senso che si dà al termine, allora sì, sicuramente Epicuro è stato per lui un Maestro e come tale ha vissuto ed è morto. Tuttavia, non può dirsi che si considerasse un epicureo, come non si considerava seguace di nulla e di nessuno se non dell’immenso amore per la conoscenza.
Quanto al fatto di considerarsi uno studioso di Epicuro, direi che più che altro è un dato di fatto, testimoniato dalle sue opere.
Iniziò a occuparsi degli studi su Epicuro nel 1935 e per il resto della vita li proseguì, mentre si dedicava parallelamente a molti altri argomenti e studi, oltre che alle sue opere teoriche.
Quanto a quello che lei afferma, sul debito di riconoscenza che gli studiosi di Epicuro – in particolare gli italiani hanno – nei suoi confronti posso affermare che, se a livello internazionale la sua fama in questo senso è sempre viva, in Italia invece pare vi sia la consegna di non parlarne, di tacere accuratamente sulla pietra miliare che i suoi studi epicurei appunto costituiscono, in modo da mandare avanti studiosi di scarsa importanza e valore. Addirittura, se si guarda persino la voce Epicuro di Wikipedia, che non so chi abbia redatto, fra le edizioni italiane e gli epicureisti italiani lui non compare nemmeno! Fra i presenti, ben pochi dei quali sono degni di attenzione, c’è anche un tale che negli anni ’40 mio padre stroncò in un saggio di numerose pagine, dimostrando punto per punto i grossolani errori di traduzione e l’ignoranza filosofica e filologica della sua opera.

Però l’Encyclopedia Britannica affidò a lui e non ad altri la redazione della voce Epicurus (https://www.britannica.com/biography/Epicurus) nell’edizione originale inglese, tradotta in inglese da Brian Duignan, scegliendolo fra tutti gli studiosi di Epicuro nel mondo, l’affidò a lui e non ad altri. Riconoscendone l’eccellenza e l’importanza. E quella di certo non va fuori stampa.
Mio padre lavorò direttamente sui papiri ercolanensi, sia consultandoli a Napoli sia sulla loro riproduzione in microfilm di cui possedeva copia.

– Carlo Diano è di certo uno studioso ed un letterato fuori dal comune, ma anche la sua vita sembra un film. Penso al rifiuto di iscriversi al Partito Fascista e alle persone che ha salvato durante la Repubblica Sociale. E, a testimonianza della sua libertà di pensiero, al voler rendere omaggio a Giovanni Gentile. Possiamo definirlo un eroe?
In inglese si usa un’espressione: “larger than life“, per definire persone dalla personalità travolgente, poliedrica, di mente instancabile. E così potrei definire mio padre. Lei dice che la sua vita sembra un film, e in effetti la sua personalità, la sua curiosità intellettuale, la sua creatività anche come artista e musicista, ma anche la sua irrequietezza (non era mai davvero sicuro e contento di sé stesso o del suo lavoro e amava scoprire luoghi e situazioni nuove)  e l’aver intrattenuto rapporti con molti dei maggiori pensatori, intellettuali e personalità del ‘900, oltre ai suoi soggiorni all’estero, hanno fatto sì che la sua vita fosse un’esperienza davvero fuori dal comune. Come del resto è stato lui.
Le azioni che lei cita, e di cui mio padre non parlava mai, non le ha sicuramente considerate degli atti eroici, ma etici. Perché in effetti, in qualunque ambiente ci si trovi, quello che conta sono le scelte etiche che si fanno. Anche se possono andare contro l’interesse personale. Mio padre ha solo e sempre seguito i dettàmi del cuore e della fedeltà al codice d’onore dell’anima. In un certo senso, apparteneva spiritualmente a quella stessa società greca, cavalleresca e aristocratica, i cui valori sono proprio quelli della ghennaiotes.
Certo, viste dall’esterno, e considerato che oggi, anche fra gli intellettuali,  imperano la codardia, l’opportunismo, il doppiogiochismo, la vigliaccheria, lo si potrebbe definire un eroe. Ma io credo che, se le azioni di un uomo sono il frutto di una necessità, perché fare l’opposto significherebbe tradire sé stessi e questo sarebbe per quell’uomo inconcepibile, allora non è un atto di eroismo, ma è una questione di seguire la propria natura.
Eroico invece considero in mio padre il modo in cui ha affrontato l’essere rimasto orfano di padre da bambino, la povertà della sua infanzia, il modo in cui ha fatto mille rinunce e ha affrontato mille fatiche fin da ragazzo per studiare e allo stesso tempo per aiutare la madre e una sorella, in cui ha amato la famiglia che si è costruito, facendo in modo di non farci mancare mai nulla, nemmeno quando alla fine era molto malato. Il modo in cui ha sempre aiutato giovani promettenti ma in difficoltà. Il modo in cui ha sempre aiutato e difeso quelli che considerava più deboli o sfortunati.
Credo che l’eroismo vero non stia in un singolo gesto, magari seguendo l’impulso della passione o dell’entusiasmo, ma nell’affrontare giorno dopo giorno una vita con molte difficoltà senza mai cedere a compromessi e senza perdere l’amore per la vita e per tutto quello che essa significa.
  
– Di Epicuro Carlo Diano ha studiato in particolare l’Etica. Perché questa scelta?

Quando mio padre iniziò a interessarsi di Epicuro, nel 1935, io ovviamente non ero ancora nata. Ma posso risponderle con le parole che lui stesso scrisse per il Curriculum Studiorum che presentò nel 1948 per il concorso a cattedra che poi vinse e che lo portò all’università di Padova nel 1950, dove rimase fino alla sua morte.

I miei studi epicurei nacquero per caso, dal commento ch’io feci al I del De finibus e nacquero da ragioni puramente filologiche, come da base strettamente filologica e sempre in vista della restituzione e dell’intelligenza dei testi partono tutte le ricerche che io ho fatto in questo campo, anche se in qualcuna di esse la filosofia vi ha gran parte. Ma, come non si può fare la filologia d’un poeta senza poetare, che fa la filologia di un filosofo deve filosofare, e non in termini generici e astratti, ma entro precisi limiti storici e di contenuto e di forma, che è come dire di lingua. Senza di che, la dimostrazione non nascendo dalla cosa, è generica, i risultati, privi di quella necessità, che la filologia, non meno delle altre scienze, ha di mira, rimangono casuali e precari. Ora, fin dalle prime questioni affrontate, io mi resi conto che i metodi fino allora seguiti nell’interpretazione di quei testi, in parte guasti, ma in parte assai più grande non interpretati e spesso ritenuti guasti solo perché non capiti, erano affatto inadeguati. Si partiva da un greco generico, si procedeva per raccostamenti, il più delle volte casuali e arbitrari e quando c’era da entrare in merito al contenuto, ci si rifaceva a una filosofia generica: se anche ci si metteva sul terreno storico, le cose non miglioravano di molto, perché l’indagine non era approfondita e, per la difficoltà di passare dalla logica sincretistica dei moderni a quella assai più precisa degli antichi (la quale per altro è ancor lungi dall’esser chiarita) la problematica rimaneva vaga e insufficiente. Una raccolta dei risultati ottenuti per quella via si ha nell’Epicuro del Bailey…
Quando uscirono i nuovi saggi del Bignone le mie ricerche erano già avviate e le regole che io mi ero proposte, stabilite: 1) rimanere nel greco di Epicuro e interpretare ed emendare, ove ce n’era bisogno, i testi, fino a che fosse stato possibile, in base ai soli elementi formali e sostanziali di ciascuno di essi, e da questi partire per le ulteriori ricerche; 2) collocare il suo linguaggio nell’atmosfera storica in cui era sorto e per conseguenza fare la storia specifica dei problemi a cui quel linguaggio rispondeva; 3) ritrovare la logica del sistema, che sola poteva dare ragione della parola e della frase.

    Fu un gorgo nel quale, tratto di cosa in cosa più in fondo, io girai molti anni. Ma i risultati furono copiosi, perché quelli da me pubblicati non sono che una parte.

Ovviamente riporto solo una piccola parte di questo prezioso Curriculum, in cui mio padre fa il punto sugli studi fino a quel momento. In effetti importantissime opere sono poi seguite.
 
 – Quale pensa sia il contributo maggiore offerto da suo padre agli studi su Epicuro? 
Credo che quanto detto nelle risposte precedenti possa rispondere anche a questa domanda. Ma certo il maggior contributo è stato quello di integrare conoscenze filologiche straordinarie, studi storici, filosofici e sociali, un metodo unico che gli ha permesso – e in questo non è stato ancora superato – di partire da problemi filologici per allargare l’indagine a un’intera cultura nella sua interezza, dunque di comprendere come pochi i testi e il pensiero degli autori antichi. Ovviamente per fare questo, sono necessarie competenze vaste e raffinate da molti studi, ma anche una cultura sterminata che non si limiti a pochi campi, ma abbracci tutto il sapere. Mio padre è stato anche uno studioso di storia dell’arte, di storia delle religioni, di papirologia, di matematica, di scienze, di pensiero orientale. Conosceva in modo profondo le letterature europee, comprese quelle scandinave, ed extrauropee. Oltre ad essere un poeta e un ottimo scrittore. Insomma, una mente enciclopedica, rinascimentale, che gli permetteva di collegare immediatamente in modo organico una quantità sterminata di conoscenze, dunque non era un semplice, arido erudito. Ecco, oggi in Italia non ne vedo molte di menti così. Trionfa la mediocrità.
 
– Oggi le opere di suo padre sono praticamente introvabili in Italia sebbene diffuse all’estero. Perché?
Perché non fa comodo confrontarsi con una mente tanto geniale, così originale e le cui opere sono terreno fertilissimo per attingere idee da far passare come proprie, usarle per scrivere articoli e volumi e costruirci delle carriere. Meglio togliere la possibilità di sapere da dove provengono quelle idee e quelle scoperte.

Però devo anche dire che, nonostante gli asfittici studi accademici cerchino di insabbiare, ci sono invece moltissimi giovani che lo stanno scoprendo da soli e si dedicano allo studio del suo pensiero. Il che è una cosa meravigliosa.

I libri di Carlo Diano su Epicuro:
1935, “Note epicuree”
1936, “Questioni epicuree”
1938, “Orazio e l’epicureismo”
1939, “La psicologia d’Epicuro”
1943, “Note epicuree”
1944, “La poetica di Epicuro”, dialogo filosofico (poi ripubblicato in “Saggezza e poetiche degli antichi, 1967 e in traduzione tedesca 1967)
1946, “Epicuri Ethica” (in latino), Sansoni, ristampata nel 1974 – “Lettere di Epicuro e dei suoi, nuovamente o per la prima volta edite,” Sansoni (ristampato con aggiornamenti nel 1974)
1948, “Note epicuree”, Maia.
1949 “Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre” – “Questioni epicuree”
1950, “Voce Epicuro” in Enciclopedia Cattolica. 1961, “Orazio e l’Epicureismo”, Atti Istituto Veneto.
1962 “La filosofia del piacere e la società degli amici” (ripubbl. 1964 in Nuova Rivista Pedagogica e nel 1967 nella autotraduzione francese in Les études philos.) –
1967 “Epikur und die Dichter. Ein Dialog zur Poetik Epikurus”, Bonn.
1970 “Epicuro, Etica”.
1974 Voci Epicurus e Epicureanism in Encyclopaedia Britannica
1974 “Scritti Epicurei” Olschki
1987 “Epicuro, scritti morali” BUR (ripubblicato nel 2001)