Ho preso, per rinata curiosità, tra “Seminar libri” presso il Centro commerciale COOP, la notissima “Lettera di Epicuro sulla Felicità”. L’ho riletta e ho trovato che i traduttori sono narcisisti, populisti, venditori di piazza: battono i piatti, urlano e richiamano gente. Così vendono prodotti, anche se nessuno ci capisce niente. Sfido qualunque lettore che sia andato oltre la terza pagina. Tradurre significa farsi capire, anche a costo di “tradire”, per divulgare.
Così questo postpranzo di un paio d’ore l’ho dedicato a rileggermi l’originale e rendere il piatto della “Lettera” più commestibile a chi ne ha tralasciata la lettura.
Logicamente, una resa in italiano alla buona e casereccia.
Epicuro scrive:
“Buongiorno, caro amico Meneceo. Mi chiedi di spiegarti cosa sia la felicità. Ci provo, con questa lettera di pochi fogli.
Consentimi, intanto, un invito: nessun giovane rinunci a riflettere sul senso della vita, così come nessun vecchio si stanchi di meditare su di essa. Chi dice che per lui non è ancora il momento di rifletterci, è come se dicesse che non è ancora il suo momento per essere felice, o che questo momento è già passato. Io invece dico che, sia un giovane, sia un vecchio, devono sempre riflettere sulla vita: il vecchio, perché possa sentirsi ancora giovane pensando a ciò che ha fatto di bene nel passato; il giovane, perché si abitui a guardare al futuro senza temerlo.
Bene, proviamo a vedere quali sono le cose che fanno la felicità.
Innanzitutto, cessa di temere l’ira degli dei. Gli dei non sono così come noi li pensiamo: non mandano le sciagure agli uomini malvagi né inviano le fortune ai buoni. Loro, gli dèi, vivono in un loro mondo.
Poi, non dobbiamo avere timore della morte: abituiamoci, invece, all’idea che la morte non è nulla, in quanto è assenza totale di percezione. E tu sai che il bene e il male risiedono nella percezione. Perché, allora, temere la morte se, finché noi viviamo, lei non c’è, e quando ci sarà lei non ci saremo noi? Eppure, la maggior parte degli uomini fugge la morte come il più grande dei mali, oppure la invoca per porre fine alle disgrazie della vita.
Il saggio, il vero saggio, sa che “vivere” non è un male, così come non è un male il “non vivere”.
È stolto chi raccomanda ai giovani di vivere bene e ai vecchi di morire bene. Lo stolto non sa che la vita è sempre ben vissuta, se l’uomo conduce una buona giovinezza e una sana vecchiezza.
Ora passiamo a occuparci del futuro. Ricordiamoci che il futuro non è tutto “nostro” e non è tutto “non nostro”. Solo così eviteremo di sperare ansiosamente che si avveri, o disperare che non si avveri.
Che dire poi dei desideri? Alcuni desideri sono naturali, ma inutili; altri sono naturali, ma necessari. [mangiare è un desiderio naturale e necessario – mangiare smodatamente è inutile]. Conoscere bene i nostri desideri ci aiuterà a preferire oppure a rifiutare ciò che serve a far star bene il nostro corpo e rendere sereno il nostro animo: questo è lo scopo della vita: vivere una vita felice.
Talvolta, addirittura, dovremo ritenere preferibili alcune sofferenze ai piaceri, se pensiamo che dopo aver sopportato per lungo tempo i dolori godremo di un piacere molto più grande.
Abituiamoci allora a saper vivere del poco, se non abbiamo il molto. Questo ci allenerà ad essere indifferenti verso gli scherzi della sorte. Non è difficile trovare ciò che ci serve veramente; è difficile invece trovare ciò che è inutile. Un piatto semplice arreca lo stesso piacere di un piatto sontuoso, quando elimini la sofferenza connessa al bisogno. Insomma, se uno è affamato, anche un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua gli arrecano piacere. Bada bene, quando noi parliamo di piacere, non ci riferiamo al piacere godereccio: le bevute, i banchetti, le donne, una tavola piena di vivande non rendono felice la vita. La vita è felice quando sappiamo ragionare sui motivi che ci spingono a preferire o a rifiutare le scelte che facciamo: in questo modo respingeremo i condizionamenti falsi che recano immensa sofferenza al nostro animo.
Medita giorno e notte, mio caro amico, fra te e te e con altri come te, su ciò che ti ho scritto, e non sarai mai turbato dall’ansia. Vivrai come un dio tra gli uomini: non assomiglia infatti a un mortale un uomo che vive fra beni immortali.”
Camillo Nardini