Stimolato dalle considerazioni sull’amicizia epicurea di Phillp Mithis nel libro “La teoria etica di Epicuro. I piaceri dell’invulnerabilità” ho voluto riassumere il pensiero di Epicuro sull’amicizia, cercando di usare quanto più possibile le sue stesse parole e aggiungendo le mie dove necessario.
Ho un debito con Carlo Diano perché la sua raccolta tematica di massime di Epicuro è stata essenziale. Ho usato la sua traduzione per quasi tutte le citazioni.
Anche il primo festival Epicureo, il cui tema generale era sull’amicizia è stato utilissimo. Ringrazio tutti i relatori.
Amicizia, desiderio naturale e necessario
A prima vista Epicuro sembrerebbe un austero saggio che vive ritirato nel suo giardino perso nei suoi pensieri e nei suoi piaceri. Ogni persona che viene a visitarlo o a chiedergli consiglio reca disturbo, specie quando lo sentiamo dire: “Allora soprattutto devi ritrarti in te stesso quando sei costretto a star tra la folla” (U 209) o “Cacciamo definitivamente da noi le cattive abitudini, come uomini malvagi che ci abbiano per lungo tempo nociuto” (SV 46) o ancora “Se un nemico ti prega, non respingere la sua richiesta, ma prendi le tue cautele: non è diverso da un cane.” (U 215). Forse non è un caso che nel suo capolavoro, la Lettera a Meneceo, non parla mai di amicizia.
E non è tutto! Il saggio del Giardino arriva ad affermare che l’amicizia nasce dall’utile. Come a dire: starei volentieri da solo, ma ho bisogno degli amici. Questi amici però li tengo a debita distanza: “Non è tanto dell’aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che al bisogno ce ne potremo servire.” (VS 34).
Di cosa ha bisogno Epicuro dagli amici? Probabilmente di protezione dai rovesci della vita: “Quel medesimo pensiero che ci affida d’ogni timore insegnandoci che nessun male è eterno e duraturo, vede perfetta quant’altro mai, pur nei limiti entro i quali si svolge la nostra vita, la sicurezza che ci viene offerta dall’amicizia.” (MC 28). Ma l’amico è anche un esempio e una guida: “Bisogna scegliersi una persona virtuosa, ed amarla ed averla davanti agli occhi, per vivere come se essa ci guardasse, e operare sempre come se essa ci vedesse.” (U 210) e “Queste cose e le altre ad esse congeneri ripeti notte e giorno con te stesso con chi è simile a te, e mai né desto né in sogno sarai turbato, ma vivrai tra gli uomini come un dio. Non è in verità simile ad essere mortale l’uomo che vive tra beni immortali.” (Meneceo 135).
A questo punto l’austero saggio che vive in solitudine nel Giardino si accorge di qualcosa. Quelle persone che venivano tenute a distanza e ammesse nel giardino solo per necessità diventano fonte di piacere. “Ogni amicizia è per se stessa desiderabile, ma trae origine dall’utile.” (SV 23). Di più! Diventano piacere per se stesse. L’amico non è solo strumento di piacere in quanto risponde al nostro bisogno di sicurezza o al nostro bisogno di saggezza, ma la sua stessa presenza è fonte di piacere. Anzi, non è la presenza a dare piacere, è sufficiente l’esistenza dell’amico. Il pensiero di avere qualcuno su cui contare al bisogno, con cui condividere la ricerca filosofica è già fonte di gioia.
Possiamo quindi tentare di fare un ritratto dell’amico per Epicuro. “Cosa assai bella è anche la vista del prossimo, quando al primo incontro ci si scopra dello stesso sentimento, o almeno si faccia di tutto per esserlo.” (SV 61) Il saggio è anche disposto ad uscire dal proprio giardino per incontrare persone simili a lui, con cui condividere le proprie idee. Ma non è strettamente necessario essere troppo esigenti se l’amico non condivide ogni nostro pensiero. Quello che conta è venirsi incontro, ma anche qui Epicuro mette dei limiti. Non tutti possono essere amici del saggio. “Ai più non ebbi mai voglia di piacere: quello che ad essi piaceva, non lo imparai, e quello ch’io sapevo, era troppo lontano dal loro modo di sentire.” (U 187) e “Queste cose le dico non alla folla, ma a te; ognuno di noi è uditorio abbastanza grande per l’altro.” (U 208)
Insomma: “Non è da lodare né chi s’abbandona con facilità all’amicizia né chi troppo vi esita: per amore dell’amicizia bisogna pure che uno metta a rischio il proprio amore.” (SV 28) Epicuro consiglia un giusto equilibrio nell’amicizia, senza esagerare né nell’aprirsi né nel chiudersi. Quando ci si lega ad un amico in qualche modo ci si rende vulnerabili.
Anche le due nature dell’amicizia sembrano in equilibrio: “Non chi cerca in tutto l’utile è amico, né chi a nessuna cosa lo congiunge: l’uno fa mercato del beneficio per averne il contraccambio, l’altro recide la buona speranza che s’ha da avere per l’avvenire.” (SV 39)
La sicurezza che cerchiamo dall’amicizia è un valore da preservare, ed è valida, deve necessariamente essere valida, da ambo le parti: “Partecipiamo alle sventure degli amici non con lamentazioni da funerale, ma prendendoci cura di loro.” (SV 66). La fiducia che Epicuro ha nei confronti dell’amicizia deve essere totale, assoluta, altrimenti diventerebbe inutile ai fini della sicurezza. Così arriva a raggiungere vette poetiche: “Il saggio soffre per l’amico messo alla tortura non meno che se vi si trovasse egli stesso. Il saggio non tradirà l’amico, o tutta la sua vita sarà sconvolta e atterrata dalla sfiducia.” (SV 56 e 57) perché dall’amicizia non vogliamo aiuti concreti ma serenità d’animo. Vogliamo la certezza di aiuto nel caso – remoto – di aver bisogno d’aiuto, perché “Il saggio, a confronto con le necessità della vita, sa dare piuttosto che ricevere: tanto è il tesoro di autosufficienza che si è procacciato.” (SV 44).
Chi ha un figlio può capire cosa Epicuro intenda quando dice di sentire come propria la sofferenza d qualcun altro. Ma anche in questo caso l’amicizia può portare al saggio una nuova fonte di piacere: il sapere che l’amico è felice perché l’idea di invidia è completamente estranea ed Epicuro: “Non si deve invidiare nessuno: i buoni non meritano invidia; i cattivi, quanto maggiore è il favore della fortuna, tanto più esteso è il male che essi fanno a se stessi.” (SV 53)
Ma anche il piacere della compagnia dell’amico è essenziale. Epicuro raccomanda, “Prima di stare a guardare che cosa tu abbia da mangiare e da bere, cerca intorno con chi tu possa mangiare e bere. Vita senza amico è divorare di leone o di lupo.” (U 542) perché “Di quanto la saggezza prepara alla beatitudine di tutta la vita, la cosa senza confronto più grande è l’amicizia.” (MC 27)
Epicuro quindi per gli amici intraprende viaggi e scrive lettere, come queste: “Son ben capace io, se voi non venite da me, di tirarmi in tre balzi fin dove voi e Temista mi chiamate.” (U 125), “Con animo ispirato e senso della magnificenza avete provveduto voi del nostro vitto e avete dato del vostro affetto verso di me prove che toccano il cielo.” (U 183).
Epicuro ed i suoi amici costruiranno una rete di relazioni in tutta la Grecia, tanto che il Saggio del Giardino arriverà a cantare: “L’amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l’appello di destarci e dire l’uno all’altro: sii felice!” (SV 52).
L’amicizia è quindi un ingrediente essenziale nella ricetta della felicità tanto che Epicuro non parla più di felicità del saggio, ma di felicità della comunità degli amici: “Quanti hanno avuto la possibilità di mettersi in stato di non avere, per quanto è possibile, a non temere nulla da parte dei vicini, costoro vivono insieme la vita più piacevole, sostenuti dalla fiducia più salda, e dopo aver goduto gli uni con gli altri la più ampia familiarità, non piangono come degna di commiserazione la dipartita di colui che li ha preceduti nella morte.” (MC 40) e “Uomo d’animo ben nato conforma ogni sua attività alla saggezza e all’amicizia, bene mortale questa, quella immortale.” (SV 78).
L’amicizia quindi,
oltre ad essere al centro della vita del saggio, va anche oltre la
sua stessa vita, non solo perché: “Dolce il ricordo di amico
morto.” (U 213). Leggiamo alcune delle ultime parole scritte da
Epicuro, la lettera che in punto di morte ha inviato a Idomeneo:
“Giornata felice e insieme l’ultima della nostra vita è questa
in che vi scriviamo. Dolori sono presenti alla vescica e alle
visceri, d’intensità tale che maggiore non è loro possibile
raggiungere. Ma si schiera contro tutto questo il godimento che
l’anima prova in proprio al ricordo delle nostre conversazioni d’un
tempo. Tu, come s’addice alla buona disposizione d’animo che fin da
giovinetto hai mostrato verso di me e la filosofia, prenditi cura dei
figli di Metrodoro.” (U 138)
Una volta morto ad Epicuro
non importerà più dei figli del suo fraterno amico Metrodoro perché
la sua anima ed i suoi pensieri saranno dissolti con il suo corpo. Ma
oggi, nel suo ultimo giorno, sapere che non avranno nessuno che si
prenda cura di loro dopo di lui gli procura un dolore all’anima
terribile, peggiore di quello alla vescica. Ma qui interviene
l’amicizia. La certezza che il suo amico Idomeneo si occuperà di
loro con lo stesso amore con cui se ne è occupato lui permette ad
Epicuro di vivere felice, seppur dolorante, il suo ultimo giorno.
L’amicizia è quindi per Epicuro un bene naturale e necessario, sia per il corpo che per l’anima, sia per la sopravvivenza, perché risponde al bisogno di sicurezza, sia per la felicità perché risponde al bisogno di non sentirsi soli.
Le citazioni di Epicuro sono tratte dalle Sentenze Vaticane (SV), dalle Massime Capitali (MC), dalla Raccolta di Usener (U) e dalla Lettera a Meneceo.
Le traduzioni di Epicuro sono di Carlo Diano tranne la SV 44, tradotta da Margherita Isnardi Parente e il frammento U 125 tradotto da Ettore Brignone (traduzione leggermente modificata).