Bisogna cercare di fare il domani migliore dell’oggi, fin quando siamo vivi.
Poi, arrivati alla fine della strada, ci allietiamo moderatamente.
SV 48
Sembra ormai universalmente accettato che le nuove generazioni, siano condannate a vivere peggio di come hanno vissuto i loro genitori. In Italia questa affermazione viene data talmente per scontata che pare nessuno pensi a motivarla o a contraddirla.
Si parla di un tenore di vita più basso, di una maggior difficoltà a trovare lavoro, di una crisi generalizzata dei valori e della politica, di perdita della biodiversità, di pandemia, di riscaldamento globale. Se si ha avuto la sfortuna di nascere dopo il 1970 sembra che tutto congiuri contro la propria felicità.
Sono certo che Epicuro non sarebbe d’accordo. Leggiamo una sua frase tratta dalla Lettera a Meneceo e poi la Massima Capitale 16:
Ricordiamoci che il futuro non è completamente nelle nostre mani, ma non è nemmeno del tutto fuori dalla portata dei nostri progetti. Non aspettiamoci che si avveri ogni nostro desiderio ma non rassegnamoci all’idea che sia impossibile riuscire a realizzarne qualcuno.
Poca importanza ha la sorte per il saggio, perché le cose più grandi e importanti sono governate dalla ragione, e cosi continuano e continueranno ad essere per tutto il corso del tempo.
A Epicuro poco importa se le nuove generazioni saranno meno ricche delle precedenti. Essere meno ricchi non vuol dire essere meno felici. Può sembrare una banalità o un luogo comune. Non lo è. Facciamoci guidare ancora una volta dalle frasi del maestro:
Se vuoi far ricco Pitocle non aumentarne le ricchezze, ma diminuiscine il desiderio. (Usner 135)
e ancora:
Per noi è molto importante la capacità di dire no ai desideri, non perché dobbiamo sempre accontentarci di poco, ma perché quando non abbiamo molto possiamo comunque apprezzare il poco che abbiamo. Apprezza di più l’abbondanza chi non ne è assuefatto. È facile procurarsi quello di cui si ha veramente bisogno mentre è difficile mettere le mani sul superfluo. I cibi semplici danno lo stesso piacere dei più ricercati eliminando il dolore della fame; pane ed acqua danno un piacere completo a chi ha fame.
Essere in grado di vivere felici con un cibo semplice e non ricercato fa bene alla salute e ci aiuta a comprendere di cosa abbiamo veramente bisogno, ci fa apprezzare di più i piccoli lussi che a volte la sorte ci regala e, infine, ci permette di non aver paura degli alti e bassi della vita. (Lettera a Meneceo)
Riassumiamo il pensiero di Epicuro:
– per essere felici non serve avere di più, bisogna imparare a tenere sotto controllo i propri desideri.
– se abbiamo tanto ne diventeremo dipendenti e non saremo più in grado di apprezzare quello che abbiamo.
– per avere più del necessario si arriva facilmente a lottare, scontrarsi e sopraffare altre persone, cose che non portano felicità.
– se sappiamo goderci il poco e al poco ci abituiamo, quando abbiamo un colpo di fortuna e possiamo permetterci qualche lusso ce lo godiamo davvero. Al contrario se siamo abituati ad avere tanto, patiremo i momenti meno fortunati in cui non possiamo permetterci lussi.
Questo discorso è valido solo se il “poco” di cui parla Epicuro supera un limite. Ci sono molti studi moderni sulla felicità. Il più celebre è quello dell’Università di Harvard iniziato nel 1938 e tutt’ora in corso. In questo come in altri studi si evidenzia come sotto una certa soglia la situazione economica sia essenziale per la felicità. Sopra questa soglia la felicità non dipenda più dalla situazione economica. Come dire: “I soldi non danno la felicità, figuriamoci la miseria”. Epicuro aveva detto qualcosa di simile nella Sentenza Vaticana 63.
Anche nella parsimonia c’è una giusta proporzione, e a chi la trascura capita press’a poco lo stesso che se si lasciasse trascinare dall’illimitatezza dei desideri.
Credo quindi che sia un dovere degli epicurei essere solidali e combattere le situazioni di povertà, come suggerisce il Maestro nella Sentenza Vaticana 44:
Il saggio che si è adattato alle necessità della vita, sa dare piuttosto che ricevere: tanto è il tesoro di autosufficienza che si è procacciato.
Le attività di volontariato e giustizia sociale ben si adattano ad un Epicureo.
C’è anche un altro motivo, secondo Epicuro, per cui la felicità non dipende dalla situazione economica. È perché la felicità è strettamente legata a qualcos’altro che con la ricchezza ha davvero poco a vedere. Rileggiamo la Massima Capitale 27.
Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è l’acquisto dell’amicizia.
Lo studio di Harvard sulla felicità già citato dimostra ancora una volta la verità di questa massima: uno dei risultati più evidenti è che le persone che hanno più relazioni personali e relazioni di migliore qualità non solo sono più felici, ma vivono anche più sani e più a lungo.
Fino a qui abbiamo ragionato di come essere felici in un mondo che va via via peggiorando. Ma siamo davvero condannati a vivere, magari felici, in un mondo destinato sempre a peggiorare?
A questo proposito voglio raccontarvi un episodio che mi è capitato due anni fa. Ho iniziato a sentire un dolore al fianco. In un paio di giorni il dolore è diventato tanto forte che non riuscivo più a sopportarlo. Sono quindi corso al pronto soccorso dove è stato subito chiaro che si trattava di un calcolo al rene sinistro. Per una curiosa coincidenza Epicuro ha provato quello stesso dolore: sono stati i calcoli al rene ad ucciderlo. Leggiamo la sua ultima lettera in cui ne parla.
Mentre trascorro il giorno felice e al contempo l’ultimo della vita scrivo questa lettera. Di tale entità sono i mali della vescica e dell’intestino che niente si potrebbe aggiungere alla loro gravità. Tutto ciò però è compensato dalla gioia dell’anima, che provo al ricordo della nostra dottrina e delle nostre ricerche.
Mentre attendevo che un medico mi visitasse avevo ben chiara questa frase. I ricordi piacevoli, il pensiero epicureo, il pensiero degli amici, tutto questo mi è stato di conforto. Ma è necessario ammetterlo: il Toradol che mi ha prescritto il medico poco dopo lo è stato molto, molto di più. Il Toradol è un potente antidolorifico.
Duemila e trecento anni fa nessuno, nemmeno Epicuro poteva prevedere che l’uomo potesse creare qualcosa di così potente da cancellare il dolore. Eppure l’uomo lo ha creato. E una parte, una piccola parte, di questo merito va a Epicuro e alla sua passione per la scienza. Leggiamo le Sentenze Vaticane 27 e 45.
Nelle altre occupazioni a stento, una volta condotte a termine, se ne coglie il frutto; nella filosofia la gioia si accompagna al conoscere; non infatti dopo l’apprendere il piacere, ma insieme vanno l’apprendere e il piacere.
Lo studio della Natura non forma uomini vanagloriosi, venditori di chiacchiere, ostentatori di quell’erudizione tanto apprezzata dalla folla, ma uomini magnanimi e indipendenti e orgogliosi dei bene loro propri, non di quelli che provengono dalla sorte.
Epicuro dedicò la maggior parte dei suoi sforzi allo studio della natura. La maggior parte dei suoi testi non sono di etica o morale ma parlano di fisica. La sua raccomandazione di affidarsi sempre ai sensi è una parziale anticipazione del metodo scientifico sperimentale di Galileo. Lo stesso metodo che ha reso possibili meraviglie come il Toradol. O come questo video che state vedendo adesso. Chi avrebbe creduto possibile una generazione fa che parlare dall’Italia alla Grecia sarebbe diventato così facile?
La scienza ci dona gli strumenti per prenderci cura del nostro futuro e renderlo più felice del nostro passato.
La scienza ci offre gli strumenti per prenderci cura degli amici, per rimanere in contatto con loro anche a distanza.
La scienza ci offre gli strumenti per prenderci cura del pianeta, penso alle energie rinnovabili, ai motori puliti alla possibilità di risparmiare acqua in agricoltura e produrre più cibo con meno risorse…
La scienza ci offre gli strumenti per prenderci cura dell’uomo. Oltre al Toradol la scienza ha prodotto i vaccini che stanno sconfiggendo la pandemia di Covid-19.
Ma la scienza è anche un’arma a doppio taglio. Basti ricordare la capacità distruttiva delle armi nucleari, o l’inquinamento prodotto fino ad oggi. Non è una novità: cantava di questo tema anche Lucrezio nel Libro V del De Rerum Natura, ad esempio nei versi 983, 984.
Per ignoranza gli uomini d’allora spesso versavano il veleno
a sé stessi, quelli d’ora più scaltramente lo danno essi agli altri.
Se riusciremo a rendere il domani migliore dell’oggi, ciascuno per se e tutti insieme, dipende solo da noi e da quanto ci impegneremo.