Le “Massime monolitiche di Diogene di Enoanda” finalmente in italiano

di | 17/07/2023

In occasione del quinto Festival Epicureo Federico Giulio Corsi e Jürgen Hammerstaedt hanno tradotto in italiano le massime di Diogene di Enoanda. Si tratta dell’unica traduzione disponibile in italiano.
A loro la parola.

NOTA: per leggere correttamente il testo greco consigliamo di scaricare questo font: https://www.ifao.egnet.net/publications/outils/polices/



Introduzione

di Federico G. Corsi e J. Hammerstaedt

In questo opuscolo presentiamo la traduzione italiana delle massime monolitiche di Diogene di Enoanda. Si tratta di sentenze che l’autore, filosofo epicureo del II sec. d.C., aveva fatto incidere su singoli blocchi di pietra (per questo «monolitiche») di un edificio collocato negli spazi pubblici della sua città, a uso e beneficio di chiunque avesse voluto fermarsi qualche istante a leggerle e, magari, a rifletterci. Questi blocchi, rimasti per quasi due millenni nel sito archeologico di Enoanda (oggi in Turchia), sono stati ritrovati durante numerosi sopralluoghi a partire dal 1884 e fino agli scorsi anni. Questa è la prima traduzione italiana della raccolta completa delle massime monolitiche di Diogene finora ritrovate.

Quella di scrivere massime era una tradizione della scuola epicurea che risaliva al fondatore Epicuro (341-270 a.C.). Il loro scopo era condensare i punti principali della sua filosofia, specialmente la parte dedicata all’etica, in modo da renderla facilmente memorizzabile e pronta per l’uso per chiunque lo volesse: anche per quei gruppi, come le donne, i lavoratori e gli schiavi, che, nel mondo antico, assai raramente avevano accesso allo studio della filosofia e che, comunque, difficilmente avrebbero avuto tempo per studiare la dottrina di Epicuro in tutti i dettagli.

La decisione di Diogene di far incidere le proprie massime e, inoltre, quelle già famose di Epicuro in un posto accessibile al pubblico e a disposizione della meditazione di tutti, era però qualcosa di raro nella divulgazione filosofica, che tendeva comunque a essere legata a contesti scolastici e a dipendere, quindi, dall’appartenenza a una comunità legata da una dottrina condivisa. Non era, invece, affatto nuova nella cultura greca in generale: antichissima, per esempio, era la tradizione di incidere precetti morali nei pressi di importanti santuari, come quello di Apollo a Delfi, dove chiunque, da tutta la Grecia, poteva recarsi per ricevere responsi (o anche guarigioni) dalla divinità. Per i Greci, insomma, era qualcosa di normale incontrare iscrizioni contenenti precetti morali e consigli su come vivere al meglio la vita con sé stessi, con il prossimo e con la società in cui si viveva. Altrettanto naturale, forse, era l’idea che i precetti contenuti in queste iscrizioni non andassero soltanto letti, ma che si dovessero memorizzare e meditare a lungo, per metterli in pratica nelle occasioni che l’avrebbero richiesto.

Le questioni su cui Diogene, filosofo epicureo, invitava i suoi lettori a meditare sono quelle che già Epicuro, diversi secoli prima di lui, aveva considerato fondamentali per raggiungere la serenità e per vivere una vita felice: l’eliminazione dei timori (degli dèi, della morte e dei dolori), la limitazione dei desideri a quelli necessari per non vivere con dolore (bere quando si ha sete, mangiare quando si ha fame, dormire quando se ne ha bisogno) e la corretta identificazione del piacere (fine ultimo della vita), non nell’eccesso e nella raffinatezza, ma nell’eliminazione del dolore: uno scopo semplice da raggiungere una volta che si fosse compreso come farlo, ma bisognoso di una meditazione ininterrotta e di un’attenzione costantemente rivolta verso ciò che può procurarlo.

A chi, dopo quasi duemila anni, può e vuole ancora leggere i brevi consigli lasciati da Diogene ai suoi contemporanei, sta decidere se ancora si possa trarre giovamento da essi e se valga ancora la pena, dopo tanto tempo, meditarvi.


Fisica I: elementi e cosmologia

1. (NF 155)

καλῶϲ Πλάτων

ὁμολογήϲαϲ γε-

νητὸν εἶναι τὸν

κόϲμον, v εἰ καὶ μὴ

καλῶϲ ἐδημιούρ-

γηϲεν αὐτόν,

τῇ φύϲει δημ-

ιουργῷ μὴ χρη-

ϲάμενο{ι}ϲ, v κα-

κῶϲ ἄφθαρτον

vvv εἶπεν.

Per quanto Platone facesse bene a convenire sul fatto che il cosmo ha avuto un’origine, anche se non lo ha costruito bene perché non utilizzò la natura come costruttore, faceva male a dire che è indistruttibile.

2. (NF 197)

[εἰ ἡ πρόνοια

τοῖϲ θεοῖϲ ἦν

οἰκεία, πῶϲ ἂν

οὐ] καὶ ἡμεῖϲ ἐπε-

θυμοῦμεν αὐ-

τὴν ὑπάρχειν;

ἀλλὰ μὴ οὖϲαν

εἰϲάγειν οὐ δυνά-

μεθα.

[Se la provvidenza fosse appropriata alla natura degli dèi, come avremmo potuto non] desiderare anche noi che essa esistesse? Ma poiché non lo è, noi non possiamo introdurla (tra le nostre dottrine).

Fisica II: meteorologia

3. (fr. 98 Sm.)

κεραυνὸϲ γείνεται

κατ’ ἐκπήδηϲιν

ἐκ τῶν νεφῶν

ϲύντονον, v πνεύ-

ματόϲ τε ἐκραγέν

τοϲ ὁμοῦ καὶ πυ-

ρόϲ ἀθρόου. vacat

vacat

ϲειϲμὸϲ γείνεται

κατὰ πνευμάτων

ἐναπόλημψιν ἐν

τῇ γῇ, v καὶ ἄλλωϲ δέ.

Il fulmine avviene per violenta espulsione dalle nuvole quando vento e fuoco ammassati sono stati sprigionati insieme.

Il terremoto avviene per intrappolamento di venti nella terra, e anche in altri modi.

4. (fr. 99 Sm.; Sm. 2003, 119)

οὐ δεῖ διαπορεῖν πῶϲ ἐν θέρουϲ ὥρᾳ χάλαζα ϲυνίϲταται. v λανθάνει γὰρ οὖϲα χιὼν καὶ τότε, v ἀλλὰ ὑμενώδηϲ, v καὶ ο[ἷά τε] ποιῆϲαι χάλαζ[αν], ὁμοίωϲ δὲ καὶ πν[εῦ]-μα ψυχρὸν ἀλλὰ μετέωρον.

Non bisogna rimanere perplessi su come la grandine si formi d’estate. Infatti, nascosta, la neve c’è anche allora, sebbene sottilissima e tale da produrre la grandine, così come anche vento freddo, ma in alto.

Etica I: paura della morte

5. (NF 130; Sm. 1998, 156-158; Sm. 2003, 119-120; Ham.-Sm. 2014, 162-164)

ἡδὺ γείνεται τὸ ζῆν

ὅταν ἀπῇ θανάτου φό-

βοϲ. v ὁ γὰρ [μ]ῦθοϲ [τοῦ]

Τα[ρτάρου κενόϲ] ἐ[ϲτιν].

ὁ θάνατοϲ [γελ]αϲτέοϲ, ἐοι-

κῶϲ προϲ[ωπ]είῳ τῷ τὰ

παιδία [ἐκ]φοβοῦντι· καὶ

γὰρ ἐκεῖνο δήξεϲθαι

μὲν δοκεῖ, δάκνει δὲ οὔ.

La vita diventa dolce quando va via la paura della morte; il mito del Tartaro, infatti, è vano.

Bisogna ridere della morte, perché assomiglia a una maschera che spaventa i bambini; anche quella, infatti, sembra stia per mordere, ma non morde affatto.

Etica II: piacere e paura del dolore

6. [?] (NF 171; Ham.-Sm. 2014, 86-88 [testo JH])

[αἰϲθανόμε-

θα τὸ τῆϲ ἡ-

δονῆϲ ποιη-

τικόν, ὃ διὰ

τὴν ψυχὴν πα-

ρα]λημπvτὸν

[ὑ]πὲρ τοῦ ϲώ-

[μ]ατόϲ ἐϲτι,

καὶ διὰ τὸ ϲῶ-

μα γεινόμε-

vvv νον. vvv

[Noi sentiamo che ciò che produce il piacere, che] si riceve [grazie all’anima] per il tramite del corpo, ha luogo anche grazie al corpo.

7. (fr. 105 Sm.; Sm. 1996, 166-167)

τῶν ἀλγηδόνων

αἱ ἄκραι χρονίζε[ιν]

οὐ δύνανται. ἢ

γὰρ ταχὺ τὸ ζῆν

ἀναιροῦϲαι ϲυν-

αιροῦνται καὶ

αὐταί, ἢ ὑφαίρεϲιν

λαμβάνουϲι τῆϲ

ἀκρότητοϲ. vacat

vacat

I dolori estremi non possono durare nel tempo: o, terminando velocemente la vita, eliminano anche sé stessi insieme a essa, oppure cessano di essere estremi.

8. (fr. 106 Sm.; Sm. 1996, 167-168)

τὸ μὲν οἴμμοι λέ-

γειν, v ϲυνεπιϲτε-

νάζοντα ταῖϲ ἀλ-

γηδόϲιν, v ἡ φύϲιϲ

ἡμᾶϲ ἀνανκάζει·

τὸ δ᾿ ἐ[π]ιθρηνεῖν

ὅτι μὴ τὰ τῶν ὑ-

γιαινόντων [δια]-

πραττό[μεθα πα-

ρὰ φ]ύ[ϲιν ἐϲτίν].

A dire «ahimé» quando si piange per i dolori ci costringe la natura; ma lagnarsi perché non si ottiene la condizione di chi è in piena salute è [contro natura].

9. (NF 213; Ham.-Sm. 2016, 113-123 [testo JH])

δικαίωϲ ἐ̣π’ ὄ̣[νoμα ἀν]-

ῆκεν ὁ ϲπου̣δ[αῖοϲ καὶ]

προϲηγορίαϲ [τοιᾶϲδε]

ἠξίωται· v κ[αὶ γὰρ δή]

ἐϲτιν ὡϲ ἀλ[ηθῶϲ ἀγα]-

θόϲ. vv πολλά[κιϲ μὲν]

βλάβηϲ αἴτ[ιόν ἐϲτι]

τὸ γεωργεῖν̣ [ϲώματι],

οὐ μέ̣ντοι [καὶ κενῶν]

λυπῶν κ̣α[ὶ φόβων].

È giusto che il virtuoso sia [rinomato] e considerato degno [di tale] appellativo; [infatti,] è veramente buono.

Spesso l’agricoltura è causa di danno [per il corpo], ma non di [vane] afflizioni e [paure].

Etica III: desideri: cibi, ricchezza, potere, sesso

10. (NF 131; Sm. 1998, 158-160; Sm. 2003, 121-122; Ham. 2007, 33-34 [testo JH])

αἱ κεναὶ τῶν ἐπ[ι-

θ]υμιῶν, v ὥϲπερ αἱ

δόξηϲ καὶ τῶν ὁμοί-

ων, v οὐ μόνον εἰϲὶν

κεναί, v πρὸϲ δὲ τῷ κε-

ναί, v καὶ δυϲπόριϲτοι.

οὐκ ἀπέο[ικ]ε τοῦ πολ-

[λ]ὰ μὲν πείνειν, αἰεὶ

δὲ διψᾶν τὸ πολλὰ

μὲν κτᾶϲθαι, [πλειό]-

ν̣ων δ᾿ ἐπ[ιθυμεῖν].

I desideri vani, come quelli per la fama o per cose simili, non sono soltanto vani, ma oltre a essere vani sono anche difficili da soddisfare. Non è diverso dal bere tanto, ma avere sempre sete, il mettersi in possesso di tante cose, ma desiderare ancora di più.

11. (fr. 108 Sm.; Sm. 1996, 168-169; Sm. 2003, 120)

[οὐ χρηϲιμώτερον τὸν παρὰ]

φύϲιν πλοῦτο[ν ἢ ὕδωρ ἀν]-

γείῳ τινὶ πλήρει, [ὥϲτε]

περιρεῖν ἔξωθεν, [ὑπολημ]-

πτέον. vacat

δυνάμεθα βλέπειν [ἀφθόνωϲ]

καὶ τὰ τῶν ἄλλων κτή[ματα]

κἀκείνων γε ἥδεϲθαι [καθα]-

ρώτερον. v τῆϲ γὰρ ὀ[ρέξε-

ώϲ ἐϲμεν ἐλεύθεροι].

La ricchezza [che supera] ciò che è naturale [non va] considerata [più utile dell’acqua] in un contenitore così pieno da strabordare.

Possiamo guardare [senza invidia] ai [possessi] degli altri e godere in modo più [puro] di loro; infatti, [siamo liberi dal desiderio].

12. [?] (fr. 107 Sm.; Sm. 2003, 120)

[ἔ]ϲτιν τρία τῶν ἀ-

[πολ]αυϲμάτων οὐ

– – – – c.9 – – – – μενα

Ci sono tre dei godimenti che non …

13. (NF 157; Ham.-Sm. 2014, 59-61 e 88-93)

ἀτυχὲϲ ἀγνοεῖν [τοὺϲ]

τὸ ἐρωτικὸν νοϲοῦν-

ταϲ πάθοϲ v ὅτι τὴν

μὲν ἀπὸ τῆϲ ὄψεωϲ

ἡδονὴν καὶ δίχα ϲυν-

πλοκῆϲ ἔχουϲιν τε-

λείαν, v τὸ δ᾿ ἀφροδεί-

[ϲ]ιον αὐτὸ v καὶ ἐπὶ

[β]ελτείονοϲ μορφῆϲ

[κ]αὶ ἐπὶ χείρονοϲ ὅμοι-

[όν] ἐϲτιν. vacat

È una sfortuna che quelli che soffrono della passione erotica non sappiano che dalla vista ricevono un piacere perfetto anche senza sesso, mentre l’atto sessuale di per sé, non importa se l’aspetto sia più bello o più brutto, è uguale.

Etica IV: la virtù, il caso e ciò che è in nostro potere

14. (fr. 111 Sm.; Sm. 2003, 122)

desunt lineae 2

[- – c. 8 – – ]ιν ἀ[πο]δ[εῖ]-ξαι τίνεϲ φυϲι[κα]ὶ τῶν ἐπιθυμιῶν, καὶ τίνεϲ κεναί. vacat οὐχ φύϲιϲ, μία γε οὖϲα τῶν πάντων, εὐγενεῖϲ δυϲγενεῖϲ ἐποίηϲεν, ἀλλ᾿ αἱ πράξειϲ καὶ διαθέϲειϲ.

[… dimostrare] quali dei desideri sono naturali e quali vani.

Non è la natura, che è la stessa per tutti, ad averci fatto nobili o ignobili, ma le azioni e le disposizioni.

15. (NF 132; Sm. 1998, 160-162; Sm. 2003, 122-123)

εἰϲ ὀλίγα τοῦ

βίου παρεν-

πείπτει τὸ

αὐτόμα-

τον, ὃ δὴ

τύχην ὀ-

νομάζο-

μεν, v τῶν

δὲ πλείϲτων

ἡμεῖϲ κρατοῦ-

μεν. vacat

In poche cose della vita si intromette la contingenza, che chiamiamo caso; siamo noi, invece, padroni nella maggior parte dei casi.

16. (NF 184; Ham.-Sm. 2014, 124-128)

τὸ παρὸν δε[ . ]ῖ

ποιεῖν τέλε[ . ]ι

[ο]ν, v οὐ πρὸϲ τὸ ἀ-

πολειπόμενον

ζῆν λέγοντα· «ἕ[ωϲ]

ἂν ἔτι μοι γένηται

τόδε v καὶ τόδε.» vv

[τί] γὰρ ἐνλείψει δ[ε-

ό]μεν[ο]ν τούτο[υ-

τοῦ φρονήμα-

τοϲ;]

Bisogna rendere perfetto il presente, e non vivere rivolti al futuro dicendo cose come: «finché non mi capiti ancora questo e quest’altro»; infatti, che cosa ci mancherà che abbia bisogno di questa aspirazione?

17. (fr. 112 Sm.; Sm. 1996, 171-172)

τὸ κεφάλαιον τῆϲ εὐ-

δαιμονίαϲ ἡ διάθε-

ϲιϲ, ἧϲ ἡμεῖϲ κύριοι.

χαλεπὸν ϲτρατεία

κἀν ἑτέρων ἀρχῇ. vacat

τὸ ῥητορεύειν ϲφυγμοῦ

καὶ ταραχῆϲ γέμον,

εἰ πεῖϲαι δύναται. τί οὖν

μεταδιώκομεν πρᾶ-

γμα τοιοῦτον, οὗ τὴν

[ἐ]ξουϲίαν ἔχουϲιν ἄλλοι;

La parte principale della felicità è la disposizione (d’animo), di cui siamo noi padroni. Il servizio miliare è duro e il comando è nelle mani di altri. L’oratoria è piena di palpitazione e di turbamenti nel tentativo di persuadere: perché, quindi, perseguiamo un’occupazione tale, che è sotto l’arbitrio altrui?

18. (fr. 113 Sm.)

οὐδὲν οὕτωϲ εὐθυμί-

αϲ ποιητικόν, v ὡϲ τὸ

μὴ πολλὰ πράϲϲειν

μηδὲ δυϲκόλοιϲ ἐπι-

χειρεῖν πράγμαϲιν

μηδὲ παρὰ δύναμίν

[τ]ι βιάζεϲθαι τὴν ἑαυ-

τοῦ. vv πάντα γὰρ

ταῦτα v ταραχὰϲ

ἐνποιεῖ τῇ φύϲ[ει].

Niente produce tranquillità d’animo come il non occuparsi di molte cose, il non intraprendere faccende complicate e il non essere costretti ad agire al di là delle proprie capacità. Tutto ciò, infatti, provoca turbamenti nella nostra natura.

Conclusione

19. [?] (fr. 116 Sm.; Sm. 1996, 175; Sm. 2003, 125)

[Sia] alle persone [che verranno] dopo di voi … motivo … se sarete persuasi che è possibile vivere bene soltanto con passione (?) e col continuo esercizio delle virtù. Il mezzo della salvezza, infatti, sta tutto lì. Nel caso in cui non (abbiate) ancora … conoscenza di tali questioni, abbiamo inciso per voi così tante lettere sulla pietra.

Bibliografia

Ham. 2007 = Hammerstaedt, J. 2007. M.F. Smith, Supplement to Diogenes of Oinoanda, the Epicurean inscription, Gnomon 79, 30-34.

Ham.-Sm. 2014 = Hammerstaedt, J.-Smith, M.F. 2014. The Epicurean Inscription of Diogenes of Oinoanda. Ten Years of New Discoveries and Research (Bonn 2014).

Ham.-Sm. 2016 = Hammerstaedt, J.-Smith, M.F. 2016. New Research at Oinoanda and a New Fragment of the Epicurean Diogenes (NF 213), «Epigraphica Anatolica» 49/2016, 109-125.

Sm. = Smith, M.F. 1993. Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription, La Scuola di Epicuro, Suppl. I (Napoli 1993).

Sm. 1996 = Smith, M.F. 1996. The Philosophical Inscription of Diogenes of Oinoanda, With 217 Figures on 64 Plates (Wien 1996).

Sm. 1998 = Smith, M.F. 1998. Excavations at Oinoanda 1997. The New Epicurean Texts, «Anatolian Studies» 48/1998, 125-170.

Sm. 2003 = Smith, M.F. 2003. Supplements to Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription, La Scuola di Epicuro, Suppl. III (Napoli 2003).